Fifty-thousand people used to live here


Che è quella faccia? Me l'hai chiesto tu! La prima cosa che mi è venuta in mente è questa. Eh sì, i miei riferimenti culturali son quel che sono. Poi lì si starebbe parlando di Prypiat, ma è comunque in zona, no?

La prima persona che ho incontrato è stato il tassista. Cioè, non quello a cui era stato detto di aspettarmi, bensì quello che offriva i suoi servizi a tutti i viaggiatori appena atterrati, probabilmente dando la priorità a quelli con l'aria più spaesata. E in quel momento avevo l'aria molto spaesata. Fatto sta che mi si avvicina questo signore di mezza età dall'aria distinta e lo sguardo vagamente malinconico, e comincia a parlarmi in russo. Sì, lì c'è chi parla russo, chi moldavo, chi rumeno, che poi è praticamente uguale al moldavo, chi dialetti... purtroppo poco inglese. Comunque, avesse parlato moldavo, o rumeno che sia, forse avrei indovinato qualche parola in più, ma così ho capito solo "taxi", al che non posso che pensare fosse quello che mi era stato detto mi stava aspettando. Si scoprì poi che in realtà avevo ceduto all'abusivismo, ma non è questo il punto. Quello che volevo dire è che in quel breve tragitto tra l'aeroporto e Chisinau ho colto quelle che con un po' di presunzione chiamo sproporzioni, le stesse che poi ho notato nei giorni seguenti in quel poco di Moldavia che ho visitato. Prima di tutto, la strada: larghissima, molto poco trafficata, buia e piena di buche. Lungo la strada, i cartelloni pubblicitari, giganteschi. Sembra quasi che più in una città c'è gente che non ha grosse disponibilità economiche, più i cartelli pubblicitari son grandi. L'hai notato anche te? Dici? Sì, in effetti... Comunque, dopo un po' sono arrivato in città, la prima cosa che si vede il Porţile Oraşului, che vuol dire qualcosa come "le porte della città", un paio di grossissimi, monolitici, grigi palazzoni dall'inconfondibile aspetto sovietico. Direi   i più alti della città, e di gran lunga. Non riesco a dire di trovarli belli, sicuramente emblematici. Ora che ci penso mi pare assomiglino un po' alle Vele di Scampia, anche se non credo proprio abbiano la stessa fama. Mah, magari mi sogno ancora i collegamenti, non sono mai stato un granché con le somiglianze, persone o cose che siano.

Fasun?

Malmen so gu losvi, spanto.

Pi, pi. Te prendi qualcos'altro?

Tallodo, spanto.

Dicevo? Ah, le somiglianze... no, sai invece cos'è un'altra cosa che m'ha fatto sentire in quel videogioco? I cani per strada. Ci sono taaanti randagi per strada. Non so se ti ricordi lo scandalo che c'era stato per le uccisioni di cani in Romania per gli europei, ecco anche in Moldavia, che per inciso è quasi una regione della Romania, come peraltro tanti moldavi vorrebbero, ma non entriamo nel discorso politico ora... anche in Moldavia ci sono tanti cani liberi per strada. Non è che siano pericolosi, e continuavano a ripetermelo... però, ci metti che di sera le strade non è che siano illuminatissime, insomma stavamo passeggiando, i miei ospiti mi stavano mostrando la città, quando ad un certo punto un grosso doberman, o mastino, non me ne intendo, fa un salto abbaiando verso di me e io vado in panico! Ovviamente era un cane da guardia, e quindi uno dei pochi legati... che figura! Sì, sì gli altri vanno in giro, si fanno i fatti loro, a volte sono in gruppo a volte da soli, ma non sono nemmeno particolarmente conciati, solo che invece di aver il guinzaglio vanno a spasso come fossero gatti. Sì, è una cosa a cui bisogna abituarsi. Bè, bisognerebbe abituarsi a tante cose stando lì!

Tra l'altro, che ore sono? Ai, mi sa che devo andare. Avrei tante altre cose da dirti su Chisinau, sulla gita in campagna... prossima volta? Ochèi. Mi vien da ridere, ma adesso non riesco più a togliermi dalla testa una frase: вы все всё равно скоро сдохнете. Ancora quella faccia? Mitan!


Ho potuto visitare la Moldavia grazie all'ospitalità di un'amica che sta compiendo là il Servizio Civile. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, potete trovare altre informazioni a questo indirizzo:




Dalla terra


Stando in Uganda m'è capitato di pensare che la Terra potrebbe essere più simile a una costellazione che a un pianeta: un insieme di parti che sembrano essere collegate tra loro in un tutt'uno coerente, ma che appaiono così solo per il particolare punto di vista da cui le si guarda, mentre in realtà sono tra loro distantissime. Per questo le conversazioni in Africa possono tingersi di surreale con una certa facilità. Per esempio, ero ad Hawaci e raccontavo al capo villaggio della mia vita in Italia a Milano.
Mi chiede se ci sono alberi vicino a casa mia.
Bè, sì ce ne sono.
Che frutta ci cresce sopra.
Non ci cresce frutta.
E che mangiate?
Non sto dicendo che non si sappia cos'è un supermercato, beninteso, è che le categorie dell'ordinario e dello straordinario sono tutte sfalsate, il che rende interessante praticamente qualsiasi argomento. Oppure si finisce a tacere per la vergogna. Come quella volta in cui mi si chiede se voglio un'arachide. Perché no. Al che vedo che ci si dirige verso un campo di pianticelle verdi piuttosto anonime. Ne viene afferrata una, tirata, eccole lì, le arachidi, tra le radici. E chi le avrebbe mai pensate sottoterra. Credo m'abbia fatto bene passare pur poco tempo con gente che fa crescere il proprio cibo, più che mettere insieme i soldi per comprarlo. Gente che oltre a saperlo, ha l'esperienza del fatto che prima dello stufato c'è la gallina, che prima del riso c'è la pioggia, che la frutta sta sugli alberi, che bisogna trovar un modo di liberarsi dalle cavallette, e così via. Sembrano banalità, ma tenerle a mente dà una certa prospettiva riguardo a ciò che è necessario e ciò che è soltanto comodo. E ricorda che non si è mai imparato abbastanza.


Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:

Il cielo sopra Morulem

Una delle prime cose che ho notato arrivando a Morulem è la vastità. Quasi una sostanza più che un attributo. Davvero l'occhio si perde partendo dal primo albero, andando a quello dietro, alla foresta, alle radure oltre, alle altre foreste, fino ad arrivare là in fondo, dove tutto è azzurro e sembra davvero di guardare distese di foglie d'acqua. Da azzurro ad azzurro, lì si sale con lo sguardo in cielo, movimentato da grandi nuvoloni, sperando di trovarli bianchi e placidi piuttosto che grigi, scuri e carichi d'acqua, specialmente se si è in viaggio. Con migliaia e migliaia di chilometri quadrati proiettati su un paio di infime retine, è facile trovare un punto in cui ci sia temporale. E se è l'ora giusta, quella in cui il sole s'abbassa, magari si copre dietro una di quelle placidi nubi di cui sopra, si potranno vedere i fulmini in un'inedita tinta arancione. Niente di inspiegabile naturalmente, niente che non stia negli schemi. Di certo però non sono gli schemi a rovinare il piacere della sorpresa. Comunque è chiaro che le tempeste aspettano che il sole tolga il disturbo per dare il meglio di sé: per un po' si potrebbe pensare che l'Africa ha un'irrefrenabile passione per i rave parties e i concerti rock, e se c'è qualcosa su cui non si risparmia sono le luci di scena. Di sicuro le luci stroboscopiche più impressionanti che abbia mai visto. C'è invece qualcos'altro la cui potenza potrebbe risultare indebolita dal fatto di essere molto più prevedibile, quasi scontata. Eppure di nuovo l'attesa viene travolta da quel momento in cui i muscoli del collo si contraggono e fanno roteare la testa per la prima volta verso la volta, quella celeste. Per la prima volta mi sembra davvero un “soffitto”, con così tante luci, così grandi, da premere sul petto e togliere il respiro. È molto alto il rischio di lasciarsi andare a parafilosofia da quattro soldi guardando un cielo così, pieno di segni e forme tutte diverse da quelle di casa, e poi l'immensa via Lattea, la galassia... mi tratterrò. Scriverò solo di come l'atterrimento iniziale lascia spazio quasi subito a una sottilissima attrazione, tanto che il movimento di esplorazione e meraviglia degli occhi e della testa è subito seguito da quello del braccio e della mano, che si stendono nell'evidentemtente vano tentativo di afferrare, di toccare, di collegare. Un tentativo di cui nessuna laurea può farti vergognare.

Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:

Il canto del pipistrello


Raccontare anche solo due settimane passate in Uganda mi risulta molto difficile, sia che provi a farlo con immagini, suoni, parole. Mi trovo più a mio agio a rievocare qualche angolo particolarmente intenso di questa esperienza, sperando che chi legge riesca a farsi un'idea dello sfondo che tiene insieme questi momenti. Ecco dunque il primo di qualche schizzo di scoperte fatte in Africa.

Morulem non assomiglia per nulla a Kampala: il nord dell'Uganda è un vasto alternarsi di colline, foreste, campi coltivati, attraversati da strade rosse di terra attorno alle quali a volte si radunano pochi piccoli edifici, spesso capanne. Per questo, può sembrare paradossale sentirsi dire che le notti a Morulem non sono un lungo intervallo di buio silenzio. Infatti, il cittadino incallito qual sono è rimasto molto disorientato dalla varietà e intensità delle conversazioni tra animali che evidentemente apprezzano in maniera particolare la discreta, pallida luce diffusa dalla luna. Non mi si chiedano i nomi, ammetterò subito di ignorarli per lo più, né m'è capitato di vederne, sia per le già citate condizioni di illuminazione, che per uno spiccato personale attaccamento alla pratica del sonno notturno. Eppure anche lì, nel letto, sotto la zanzariera, non si può ignorare il vivace prodursi di lingue sconosciute all'esterno. I più famigliari sono i vigorosissimi latrati dei due cani di Padre Joseph che giocano a far la guerra con quelli dei vicini, salvo poi mostrarsi amichevolissimi alla prima occasione di incontro in assenza di reticolato tra le parti. Poi gli uccelli: ogni sera, oltre ai tanti richiami già sentiti, se ne aggiunge un altro, nuovo, una volta squillante, un'altra melodioso, un'altra basso e ritmico... chissà quanto sarei dovuto restare per passare una notte senza sorprese. C'è poi il più comune, il primo a farsi notare quando ancora il sole sta tramontando e che rimane più a lungo durante la notte, quello che mi ha fatto riflettere di più sulla mia ignoranza, o mancanza di esperienza: il canto del pipistrello. È buffo come questo “canto”, di per sé, sia un suono perfettamente usuale, specialmente per il cittadino incallito qual sono: potrebbe essere un mezzo pesante in retromarcia, un cancello in movimento, un antifurto un po' particolare, un qualche apparecchio che chiede gli si presti attenzione. Sembra di fatto un suono perfettamente artificiale. E invece è il canto del pipistrello: bizzarro, specialmente se hai la malaugurata convinzione che sia muto.

Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:


Annunciazio'

Con la disinvoltura di chi fa come se fosse a casa sua, arieccomi. Pare che da parte mia non ne abbia avuto abbastanza di scrivere di questo mio ultimo viaggio, e che per di più il buon padron Rici non ne abbia avuto abbastanza di me, quindi preparatevi a qualche altra pillola africana, a cadenza approssimativamente bisettimanale, a partire dalla prossima domenica (28!). Sigla...














Boda-boda dance

Impressioni di una breve visita a un luogo molto lontano


Per quanto mi riguarda, ho visto almeno due Uganda, nominabili coi posti in cui ho trascorso la maggior parte del mio tempo: a Morulem, nel nord-est, le comodità sono pochissime, viaggiare un lusso e la natura, selvaggia o coltivata che sia, la fa da padrona, svolgendo lunghe giornate in una quiete solo sporadicamente sospesa da un po' di pioggia irruenta o dall'attività umana, a sua volta poi ricoperta da una notte stellatissima e fitta di conversazioni animali; a Kampala, la capitale nel sud, un groviglio di cose e persone, odore forte di gasolio, suoni e luci notte e giorno. Vorrei scrivere qualcosa su quest'ultimo volto ugandese, che è quello che più mi ha colpito, forse anche a causa del fatto che è il primo (e l'ultimo) di cui ho avuto esperienza.
Innanzitutto però ritengo necessaria una premessa. Per quanto banale, inflazionata, provinciale possa sembrare tale affermazione, in tutta onestà devo ammettere che non appena sono sceso dall'aereo mi sono sentito letteralmente in un altro mondo. Non si scappa: a partire dal colore della pelle, passando per la statura, i tratti del viso, il suono della voce, il modo di salutare e parlare, fino a quello in cui si pensa e oltre, a ogni passo l'esperienza più evidente è quella della differenza, che naturalmente è a doppio senso. Questo rende l'incontro molto più interessante ma fatalmente diventa altrettanto difficile raggiungersi e capirsi, specialmente nel brevissimo tempo che ho potuto dedicare a questa terra. Quello che posso permettermi dunque è soltanto un racconto semiserio, sicuramente parziale e molto superficiale, costruito su percezioni rozze e pesantemente filtrate da preconcetti, aspettative, assunti che non ho fatto in tempo a riconoscere e separare dai ricordi.
Non riesco a dire che Kampala è una città, visto quanto è differente da quello che mi figuro nella mente quando penso a quella parola. Di sicuro ci vive moltissima gente, che affolla marciapiedi e strade per gran parte delle ventiquattr'ore; però si cozza subito contro una diversità notevole: proprio le strade. Solo le vie principali sono asfaltate (spesso alla buona), il resto è sterrato, e dissestato in un modo che non sarebbe buono nemmeno per farci del rally. Spero si cominci ad apprezzare come, da buon milanese nato e cresciuto nel caro vecchio catrame, i due concetti di città e sterrato facessero a botte nella mia piccola e umile testolina. La viabilità è inesistente: certo, compare qualche semaforo, di certo funzionante, ma in linea di massima si passa quando si può, e lo spettro della possibilità è molto più ampio di quello a cui ero abituato. D'altro canto, è perfettamente normale rimanere chiusi e fermi e in coda nella propria auto, una in una folla di veicoli che sembra ogni volta irrealisticamente folta, ad aspettare che il puntualissimo ingorgo si risolva, magari con l'aiuto dei pochi e poco efficaci (probabilmente senza nemmeno molta colpa) vigili urbani. Camminare, come ormai si può immaginare, non è più semplice: quando non ci si riduce a saltellare sulla terra rossa a fianco della strada, terrorizzati dalla vicinanza delle auto in corsa, si procede guardinghi su marciapiedi costellati da tombini lasciati aperti per motivi poco chiari e meno convincenti. L'attraversamento stradale è poi un vero e proprio avvenimento teologico: la fede del pedone che incontra la grazia dell'automobilista (o motociclista). Mi piace pensare che siano state proprio queste condizioni ambientali ad aver plasmato e dato alla luce una creatura nuova, simbiosi tra uomo e 125 in grado di affrontare spavaldamente le sfide del suo habitat: il boda-boda.
Il boda-boda è il servizio taxi su moto di Kampala. Moto di piccola cilindrata, variamente decorate, molto affezionate ai loro padroni. I boda-boda si muovono in sciami, di cui hanno anche il caratteristico suono. Più spesso li si può trovare fermi ai margini di qualche viale, in attesa di clienti. Si volesse approffitare del servizio, è buona norma contrattare sul prezzo, come da copione per quasi ogni transazione commerciale in Uganda. Una volta raggiunto un accordo, ci si accomoda sul paurosamente ridotto spazio posteriore, ci si aggrappa a quel che si può, e comincia la danza. Non saprei come altro definire il destreggiarsi di questi centauri tra il già citato delirante traffico della capitale, sempre al limite del contatto, sia con un'altra moto, con un'auto, con un pedone. Naturalmente questi uomini hanno una grande esperienza e sanno cosa possono permettersi. Tuttavia, credo sia necessaria una certa dose di spericolatezza per sfrecciare in quel modo, prendersi quella precedenza, divincolarsi da quell'incrocio intasato, schivare quel passante. Immagino che gli incidenti succedano, ma io non ne ho visto nessuno, il che è molto meno di quello che mi sarei aspettato poco dopo essere salito in moto. Inutile dire che sono arrivato a destinazione sano e salvo e, confesso, piuttosto divertito. Dopotutto per me occidentalone viziato è stato più o meno come un giro su una qualche attrazione da luna park, mentre per queste persone è il lavoro di tutti giorni. Però mi piace pensare che, nonostante i passi complicati e rischiosi, la polvere rossa in faccia, il diesel nelle narici e sicuramente profitti non particolarmente rilevanti, questi ballerini siano contenti della loro danza: è pur sempre un modo molto poco banale di muoversi, il che è necessario a una buona vita quasi quanto respirare e purtroppo molto meno spontaneo. Come se volessero confermare la mia silenziosa supposizione, li vedo ridere sonoramente. Ma d'altronde da queste parti è quasi un vizio.
Probabilmente non sceglierei di vivere a Kampala. Sembra quasi che qualcuno abbia deciso di fare l'esperimento di mettere nello stesso posto più gente possibile e vedere cosa ne viene fuori: spero si sia capito che il risultato non è niente di tranquillo. Mi sono scoperto piuttosto affezionato alle mie regole, alle mie comodità, conosco chi mi accuserebbe di essermi imborghesito. Allora mi prescriverò una profilassi anti-apatica. Il più spesso possibile, una buona dose di boda-boda dance: ignorare le distanze di sicurezza, sfruttare tutto lo spazio, non lasciarsi rallentare, finalmente arrivare a destinazione.


Ho potuto visitare l'Uganda grazie all'associazione A.Mi.Ko., che sostiene diversi progetti di sviluppo in Karamoja, una delle zone più in difficoltà del paese. Se la lettura ha stimolato la vostra curiosità, fate un salto qua:




Da oggi posso finalmente urlare al mondo che il mio blog è a impatto zero!
Partecipando alla lodevole iniziativa ambientalista promossa da DoveConviene.it, il sito che aggrega tutti i volantini promozionali e li rende consultabili online, ho permesso ad un nuovo albero di vedere la luce in una zona boschiva a rischio di desertificazione.


L'iniziativa è molto semplice: per ogni blog che aderisce al progetto DoveConviene pianta un albero la cui produzione di ossigeno andrà a compensare le emissioni di anidride carbonica prodotte dal mio sito.
Forse non tutti sanno che in media un sito internet si fa carico ogni anno dell'emissione di 3,6 kg di CO2, a fronte di ciò invece un albero è in grado di assorbirne fino a 5 kg all'anno. Il bilancio finale è a favore dell'ossigeno, il mio blog ne guadagna, l'ambiente ne guadagna e con lui tutti noi.
DoveConviene tramite l'attività di distribuzione di volantini in formato elettronico si sta facendo portavoce di una nuova tendenza mirata alla diminuzione dell'utilizzo e spreco di carta per scopi pubblicitari. Tutti i più popolari e diffusi volantini, come quelli di Conad, Grancasa, Esselunga, sono ora disponibili anche online, consultabili al pc ma anche tramite apposite applicazioni per iPhone, iPad e Android.
I volantini inoltre sono facilmente consultabili, eccone degli esempi:
Unieuro -> http://www.doveconviene.it/volantino/unieuro
Lidl -> http://www.doveconviene.it/volantino/lidl
Auchan -> http://www.doveconviene.it/volantino/auchan
In 12 mesi di attività sono stati già piantati più di 1.000 alberi, ma l'iniziativa non si ferma qui e per i prossimi mesi la sfida lanciata è ancora più ardua: piantare altri 1000 alberi entro la fine di agosto. Se l'intento riuscirà altri alberi verranno aggiunti al computo totale come premio alla zelanza dei blogger italiani. Perciò partecipiamo tutti numerosi!
Per chi vuole approfondire nel dettaglio sull'iniziativa vi invito a visitare http://www.iplantatree.org/project/7

Un universo da imbastire


Il Capo vuole un nuovo universo entro il fine settimana. Big e bang si mettono all'opera.

BIG:   Ok. Ho finito l'impalcatura dello spazio - tempo.

BANG:   Bene. Adesso fissa un centro e poi iniziamo.

BIG:   Ehm... Bang?

BANG:   Sì?

BIG:   Avevamo detto che non ci sarebbe stato un centro.

BANG:   Impossibile. Sarà sferico. Tutte le sfere hanno un centro.

BIG:   Lo so benissimo che tutte le sfere hanno un centro.

BANG:   Allora evita i discorsi fuorvianti, per piacere. Siamo già in ritardo.

BIG:   Il punto è che non sarà affatto sferico. Quei cosi gassosi o rocciosi saranno sferici, i dieci miliardi di luminarie che ecciteranno tanto il capo saranno sferiche. Ma non l'universo. Ne avevamo già parlato.

BANG:   E io ero d'accordo?

BIG:   Ehm... Sì.

BANG:   Impossibile.

BIG:   Eppure...

BANG:   Comunque, stelle e pianeti non possiamo farli sferici. Rotolerebbero dappertutto.

BIG:   Fastidioso.

BANG:   Molto meglio pensare a dei cubi. Dove li metti stanno.

BIG:   Sarebbe bello, ne convengo. Ma il capo vuole le bocce.

BANG:   Va beh... Ci è rimasta un po' di gravità per legarle?

BIG:   Sì.

BANG:   Allora dov'è il problema?

BIG:   È l'espansione. È Colpa tua.

BANG:   Mia?

BIG:   Tua.

BANG:   E in che modo un problema tanto pratico può essere causato dalle virtù di un teorico, scusa?

BIG:   Hai messo la pulce nell'orecchio al capo, quando gli hai attaccato quel pippone al bar.

BANG:   Non vado mai al bar e non attacco pipponi. E una sola di queste frasi basta a far cadere la tua tesi.

BIG:   Lui ordinò un marocchino, tu un caffè americano.

BANG:   Ah, ho capito. Ma allora quello non è "andare al bar".

BIG:   A no?

BANG:   Assolutamente. A meno di non definire il caffè americano, caffè vero e proprio.

BIG:   Si chiama caffè americano. Vedi tu.

BANG:   Errore formale. Non è caffè.

BIG:   A tratti mi turbi.

BANG:   Dev'essere il gap culturale.

BIG:   Però il pippone ti è partito ed è andato a segno.

BANG:   Non me lo ricordo.

BIG:   Io sì. Fissavi il soffitto e blateravi qualcosa su un universo dinamico. Sembravi posseduto.

BANG:   Forse volevo solo escluderti dal dialogo.

BIG:   Forse non mi andava di stare a sentire le tue pare teoriche.

BANG:   Comunque, ora che ci penso, sono ancora convinto che sia una buona idea.

BIG:   Un universo ad espansione?

BANG:   Bello eh?

BIG:   Scomodissimo.

BANG:   E perché mai.

BIG:   Tanto per cominciare non conviene farlo sferico.

BANG:   Meglio. Sarebbe noioso.

BIG:   Poi scordati la geometria euclidea.

BANG:   Mai piaciuta.

BIG:   E come la metti con l'inizio e la fine?

BANG:   Inizia in un punto e finisce all'infinito.

BIG:   Ancora con sto infinito? Lo vuoi capire che è pacchiano.

BANG:   È affascinante invece.

BIG:   E poi diventa tutto freddo. Morto.

BANG:   Pazienza. Il capo ce ne farà fare un altro.

BIG:   Mmm. E se si ricomprimesse tutto, invece?

BANG:   Per quanto?

BIG:   Fino a un punto.

BANG:   Solo lo spazio o anche il tempo?

BIG:   Solo lo spazio.

BANG:   Mmm. Provincialotto!

BIG:   Non sono provincialotto! Sono pratico! In questo modo sarà automatico.

BANG:   Automatico dici?

BIG:   Un unimatico. Un autoverso.

BANG:   Il capo è stato chiaro: vuole un universo.

BIG:   Mai che ci venga incontro, però.

BANG:   Ve beh. Intanto lo facciamo partire. Poi si vedrà...

BIG:   Va bene. Allora vado per il centro?

BANG:   Formalmente non sarà un centro. Sarà tutto l'universo in un punto no?

BIG:   Va beh... Come vuoi! Allora dove lo metto sto "tutto l'universo in un punto"?

BANG:   Lontano da me! Ho già mal di testa!